Leo Messi ha svelato il segreto dei suoi numeri in campo nel corso di un’intervista rilasciata recentemente ai microfoni di TyC Sports. Sin da piccolo la pulce argentina pare aver sofferto la pressione esercitata dal padre nei suoi confronti. Il genitore, allo scopo di spronare il figlio a fare sempre meglio, non gli ha risparmiato critiche, molla che avrà fatto scattare nella sua testa il desiderio di migliorarsi costantemente, e di riuscire a superare i propri limiti di giorno in giorno, senza mai fermarsi od accontentarsi.
Tutto merito del padre, quindi? In parte sì. Il fattore psicologico gioca un ruolo cruciale nella crescita di un giocatore. Le continue obiezioni del papà avranno fatto scattare in Messi quella sensazione di rivalsa utile a chi viene messo alla prova un momento sì e l’altro pure. Sempre umile Leo, lui che non ha voglia di montarsi la testa nonostante sia additato da tutti come l’erede naturale di Diego Maradona, con le dovute differenze che il caso impone.
Il fenomeno di Rosario racconta alla stampa quasi mortificato: “Quando ero piccolo e magari segnavo quattro gol in una partitella mio padre non mi faceva mai i complimenti. Cercava sempre in qualche modo di criticarmi. Questo mi ha portato a migliorare sempre di più e ad essere molto esigente verso me stesso“. Se i risultati di questo atteggiamento sono quelli finora ottenuti, ben venga allora. Ad averceli tutti il padre ed il carattere di Messi.
Chiusa la parentesi familiare, il quattro volte Pallone d’Oro si è poi soffermato a parlare di quelli che sono i suoi idoli sportivi: “Ammiro Kobe Bryant, Djokovic, Federer, Nadal e Del Potro. Quando ero giovane al Barça mi hanno aiutato molto Sylvinho, Deco, Motta, Milito e Ronaldinho“.
Lui che ha sempre stentato a brillare nelle fila dell’Argentina, adesso potrà sfruttare la spinta propulsiva registrata in Champions contro il Milan per fare bene anche con l’albiceleste. Ecco, secondo il suo parere, le sostanziali differenze dei giochi adottati dalla Seleccion e dal Barcellona: “In Nazionale giochiamo un po’ come il Real Madrid: aspettiamo il momento giusto e poi cerchiamo di colpire. Ma abbiamo anche l’arma del possesso palla. Con il Barcellona è difficile affrontare squadre che si chiudono in difesa e non lasciano spazi per attaccare: è successo con il Real, con il Milan, con l’Inter di Mourinho. Certe volte paghiamo il fatto che non sappiamo giocare in un altro modo“.