La Roma di Luis Enrique: perché è stato un progetto fallimentare

Un'analisi più approfondita sulla stagione più strana nella storia recente giallorossa

di Maria Barison 22 Ottobre 2020 16:16

Chi non ricorda il famoso “proyecto” che avrebbe dovuto riportare la Roma ai fasti di un tempo? Il 10 giugno del 2011 Luis Enrique arrivò in giallorosso grazie alla prima Roma americana di Tom DiBenedetto, tra squilli di tromba e promesse di bel gioco. Il tecnico, infatti, proveniva dalla scuola del Barcellona, che all’epoca incantava il mondo intero con il “tiki-taka”. Baldini, all’epoca direttore generale della Roma, voleva imporre una vera e propria rivoluzione culturale nella capitale, con uno stile riconoscibile in campo e fuori. Uno spagnolo, il secondo nella storia giallorossa, che non poteva fare peggio del predecessore Luis Mirò, in panchina dal 24 novembre 1963 al 31 maggio del ’64, che condusse la “Lupa” solo a un 12° posto.

I tifosi, però, ci misero poco a mettere il mister asturiano nel mirino della critica. Il primo errore fu la memorabile sostituzione di Totti con Okaka nel playoff di Europa League contro lo Slovan Bratislava, che vide subito la Roma eliminata dalle coppe internazionali. Daniele De Rossi lo ha sempre annoverato fra gli allenatori migliori che gli sia capitato avere, ma ancora oggi è l’unico ad avere ricordi positivi di Luis Enrique dalle parti di Trigoria. E dire che proprio in quell’annata il centrocampista fu spedito in tribuna assieme a Kjaer per un ritardo di qualche minuto alla riunione tecnica pre-gara, precisamente in vista della trasferta con l’Atalanta, che fruttò ai giallorossi una sonora sconfitta per 4-1.

Settimo posto finale, fuori dall’Europa, entrambi i derby con la Lazio persi e sconfitte dolorose: Colantuono e Cosmi dovettero chiedere ai loro giocatori di non infierire troppo su una Roma visibilmente malmessa. La verità è che il “tiki-taka” a Roma non è mai arrivato e le ragioni sono da imputare anche alle scelte cadute forzatamente su calciatori le cui caratteristiche potessero sposare la filosofia di gioco del mister, ma troppo inesperti, come José Ángel e Bojan.

Luis Enrique era destinato a non resistere a lungo, anche se in molti ritengono un peccato non aver potuto assistere a una sua seconda stagione alla Roma. La semina dava l’idea di poter dare buoni frutti, ma non si passò mai al raccolto. Non è mancato comunque un risarcimento personale: quella Champions League vinta al timone del Barcellona nel 2015, ai danni della Juventus, rivale storica dei giallorossi. Così, seppur a distanza di chilometri e di anni, il mister riuscì a far sorridere per una volta anche i tifosi capitolini.

Oggi Luis Enrique è il ct della Spagna. L’ex allenatore della Roma è arrivato a guidare le “Furie Rosse” nel 2018, dopo l’insuccesso dei suoi connazionali al Mondiale in Russia, terminato agli ottavi di finale con la lotteria dei rigori che premiò i padroni di casa. Il compito è chiaramente quello di portare gli iberici a un risultato dignitoso ai prossimi Europei. La prima edizione della Nations League non è stata foriera di grandi successi e la Spagna si è limitata a chiudere al secondo posto nel proprio girone. La Roma, ormai, è alle spalle, ma anche il “tiki-taka”, di cui sono rimaste poche tracce anche nello stesso Barcellona. Le statistiche sull’influenza del possesso palla nel calcio di oggi sono chiare. Il “proyecto” è fallito.

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