Dal 4-3-3 di Luis Enrique a quello di Znedek Zeman, che ormai è sempre più vicino al ritorno sulla panchina giallorossa.
L’interpretazione e il modo di sciorinare il proprio calcio sono fedeli solo nei numeri, perché le differenze fra lo spagnolo e il boemo sono abissali: il primo predilige il possesso palla, il secondo la verticalizzazione immediata. Un cambiamento che va ben al di là di un asettico modulo.
L’attuale allenatore del Pescara ieri si è incontrato con Franco Baldini in una Chieti, molto lontana dal clamore mediatico che solo la Roma calcistica può regalare. Distanti dal frastuono capitolino, si è parlato di programmi, di contratto e di giocatori. I punti in comune sono stati talmente tanti, che sarebbe opportuno domandarsi il perché di un matrimonio ritardato di un anno.
La voglia di imporre il proprio calcio e la valorizzazione dei giovani sono sempre stati le etichette di quel meraviglioso esempio di lealtà umana e sportiva che è Znedek Zeman. Etichette che Baldini ha tentato invano di apporre al progetto tecnico di Luis Enrique, che è rimasto soffocato dallo stress del calcio nostrano.
Zeman ama Roma e la Roma e tutto ciò ruota attorno a una città, che all’inizio ti guarda con diffidenza, ma se le fai palpitare il cuore, non smette di travolgerti con il suo sentimento. Ed è esattamente quello che successo con i tifosi romanisti nel 1997, quando il boemo cambiò sponda del Tevere dopo 3 anni di Lazio.
Qualche minuto per scrutarsi, qualche giorno per capirsi e poi 13 anni per dimostrarsi una passione, che non è stata intaccata né dai quattro derby persi consecutivi e né della lontananza. L’amore per Zeman dimostra che il provincialismo del popolo giallorosso è solo nella penna di alcuni giornalisti e il detto “lontani dagli occhi, lontani dal cuore” non vale per un rapporto che ha incarnato le battaglie contro il vento del Nord come lo chiamava il presidente Franco Sensi.