Francia, le verità di Raymond Domenech

Raymond Domenech racconta le sue verità in “Tout seul” (Da solo), un’autobiografia onesta e schietta, che farà discutere, e non poco, i calciofili francesi. Un flusso di pensieri lungo 361 pagine, in cui l’ex ct della Nazionale transalpina entra nel dettaglio degli episodi più curiosi e controversi del suo percorso professionale.

Nel libro, Domenech riserva un capitolo all’Italia, ripercorrendo i momenti salienti della finale del Mondiale 2006 persa dai ‘Bleus’ contro gli azzurri. L’ex ct francese non può non citare Marco Materazzi: “Mi hanno spesso rimproverato di aver detto che Marco Materazzi sia stato il vero protagonista della finale. Però tutto lo indica come tale: Zizou segna su rigore provocato da un fallo di Materazzi su Malouda. Materazzi poi pareggia, senza dimenticare la capocciata”. Un incubo, insomma.

Poi Domenech tesse le lodi di un altro azzurro, Gianluigi Buffon, evidenziando il suo attaccamento alla maglia della Nazionale: “Quando vedi Buffon che a 34 anni canta l’inno con gli occhi chiusi, a squarciagola… Non si tratta di nazionalismo, ma di mostrare alla gente che ognuno si impegna per la maglia della nazionale ed è emozionato per i valori, la storia che rappresenta”. Un vero e proprio attestato di stima, dunque.

Il portiere della Juventus è esattamente il tipo di calciatore che Domenech non ha mai incontrato nella sua esperienza da ct della Francia. La mente di Raymond va inevitabilmente al disastroso Mondiale 2010 in Sudafrica, quello delle faide all’interno dello spogliatoio dei ‘Blues’. Il primo a finire sulla graticola è Nicolas Anelka, che insultò pesantemente il ct a fine primo tempo della gara con il Messico (“Razza di str… fattela da te la tua squadra di m…”).

In questa parte dell’autobiografia Domenech riconosce il suo fallimento personale, ammettendo di non essersi saputo imporre su un gruppo di calciatori “incoscienti” e “immaturi”. E la frase che segue ne è un esempio lampante: “Mi sorprese di più il fatto che Anelka mi diede del tu, rompendo la barriera dell’età, degli schemi, della gerarchia”.

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